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Miami… al cinema

Cinema
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Ringraziamo Fulvio Capezzuoli (autore di numerosi libri sul cinema) per averci inviato questo interessante articolo su Miami nel cinema.

Il sole che brilla (quasi) sempre, le spiagge di sabbia dorata lambite da un mare cristallino, le palme, un clima gradevole, tutti elementi che, oltre ad attrarre turisti in cerca di relax, hanno fatto della Florida, un set naturale per il mondo del cinema americano.

Sin dai primi anni ’40, se i produttori hollywoodiani volevano realizzare un film bellico che narrasse la guerra in corso nel Pacifico, gli esterni venivano girati qui, dove il paesaggio era più simile a quello del teatro del conflitto contro i giapponesi; ed è il caso di Thirty Seconds Over Tokyo (Missione segreta) di Mervin Le Roy del 1944, un’opera di grande successo, che narrava il primo bombardamento dell’aviazione statunitense sulla capitale giapponese.

Ma anche pellicole che con la guerra nulla avevano a che vedere, come la commedia Moon over Miami (Appuntamento a Miami) di Walter Lang del 1941, utilizzavano come sfondo gli edifici, le strade, i locali della città, fatti risaltare, in questo caso, unitamente alle bellissime gambe di Betty Grable, dalla splendida fotografia a colori di Allen Davey.

Nel 1948 è John Houston a dirigere Key Largo (L’isola di corallo), ambientato e realizzato sull’isola omonima. Houston crea, con il suo co-sceneggiatore Richard Brooks, due personaggi su misura per Humphrey Bogart e la sua giovanissima moglie Lauren Bacall che, in un film non fra i migliori del grande regista americano, danno prova invece di una straordinaria performance interpretativa, che rende quest’opera memorabile, e ancora oggi proiettata frequentemente, con successo, nei cinema d’essai di tutto il mondo.

Anche il grande Frank Capra, a metà degli anni ’50, per il suo rientro nel mondo del cinema dopo un lungo intermezzo televisivo, sceglie un soggetto che si svolge nella città di Miami, dove si trasferirà per alcuni mesi insieme alla troupe, capeggiata da Frank Sinatra che sarà il protagonista del film. A hole in the head (Un uomo da vendere) è una commedia drammatica ambientata in una Miami popolata da giocatori d’azzardo privi di scrupoli, e dove Capra riprende i temi, a lui cari, dei rapporti fra la ricca borghesia priva di valori morali, e i dropout per i quali il regista parteggia apertamente.

Ma è nel 1959 che Billy Wilder ambienta a Miami Beach, Some like it hot (A qualcuno piace caldo). Dopo questo film, nell’immaginario collettivo la Florida si identificherà con la terra frequentata da miliardari, che diviene terra promessa per fanciulle in cerca di un buon matrimonio. Non importa se Jack Lemmon, en travesti, cattura uno di questi ricchi che, ammaliato dalla sua ‘avvenenza’, al momento della rivelazione della sua appartenenza sessuale (“Sono un uomo, stupido!”) risponderà con la battuta più divertente di tutta la storia del cinema (“Nessuno è perfetto!”). Non importa se lo squattrinato Tony Curtis conquisterà la sfortunata Marilyn Monroe, sempre in fuga da amori infelici, e il film lascia chiaramente intendere che la loro relazione futura sarà senz’altro difficile. Quello che resta nei nostri cuori è la scena dei vecchietti ricchi e (bonariamente) viziosi che, sulla veranda del Grand Hotel, sulle sedie a dondolo, attendono con eccitazione l’arrivo di giovani fanciulle disponibili. È curioso che quest’opera, che più di ogni altra familiarizza lo spettatore con l’immagine della Florida, sia l’unica, fra tutti i film sino ad ora citati, che in realtà non fu realizzata in Florida. Le riprese di tutti gli esterni della spiaggia e dell’albergo di Miami Beach, furono girate in California, sulla spiaggia Coronado, all’interno della baia di San Diego.

Nel 1964 anche James Bond/Sean Connery arriva a Miami dove il regista Guy Hamilton gira alcune sequenze di Goldfinger (Agente 007, Missione Goldfinger). Viene utilizzata la piscina dell’Hotel Hilton a Miami Beach, e alcune location sia nella città, che nella Contea di Miami.

Nel 1980, Lawrence Kasdan, un trentenne che ha sceneggiato Raiders of the lost Ark (I predatori dell’Arca perduta) diretto da Spielberg, arriva a Fort Worth, con un budget limitato e alcuni giovani attori, l’esordiente Katleen Turner e il quasi esordiente William Hurt, per realizzare un film basato sul romanzo The Postman Always Rings Twice (Il postino suona sempre due volte) di James Cain. A chi gli fa notare che molti registi hanno già utilizzato la storia, e fra questi, nel 1942, due maestri del cinema, Luchino Visconti con Ossessione e Billy Wilder con Double Indemnity (La fiamma del peccato), sono riusciti a trarre dal libro due capolavori inimitabili, risponde con un’alzata di spalle: “Il mio sarà un film diverso”. In effetti realizzerà Body Heat (Brivido caldo), un’opera straordinaria, impregnata di un erotismo sino ad allora mai portato sugli schermi, forse l’ultimo grande “noir” (a colori) della storia del cinema. Kasdan, sempre per limiti di budget, non si limitò a girare gli esterni a Miami, a Palm Beach e a Hollywood Beach, ma costruì anche a Fort Worth gli interni, utilizzando vecchi palazzi della città ormai in disuso. Body Heat è uno dei pochi film interamente realizzato in Florida.

Ormai Miami e i suoi dintorni sono divenuti una realtà produttiva alternativa a Hollywood, e anche Brian De Palma, quando nel 1982 decide di realizzare il remake di Scarface, il capolavoro di Howard Hawks, che cinquant’anni prima ha impostato gli archetipi di tutti i gangster’s movies americani, sceglie come location proprio Miami. Dalla Chicago degli Anni ’20, sposta l’azione nella Florida contemporanea, dove il protagonista, interpretato da Al Pacino, è un cubano residente a Miami, che con altri cubani malavitosi, organizza il traffico della droga dalla Colombia verso gli Stati Uniti. Quando i contenuti del film sono resi noti, la forte comunità cubana presente nella penisola si ribella, sentendosi rappresentata in modo negativo. Viene fatta circolare la voce (falsa) che il film sia finanziato direttamente da Fidel Castro, e la presenza di Oliver Stone come sceneggiatore, crea ulteriori tensioni, in quanto è nota la simpatia che Stone esprime nei confronti del governo dell’Avana. Quando De Palma inizia a girare, le minacce che riceve quotidianamente, portano la produzione ad assumere guardie del corpo a protezione del set, degli attori e dei tecnici. Dopo un periodo di difficoltà, viene presa la decisione di trasferire tutta la troupe in California, dove il film viene completato con oltre tre mesi di ritardo. Sarà poi David Ray, subentrato nel montaggio a Gerald Greenberg, a mescolare sapientemente il girato a Miami, con quello di Los Angeles. Malgrado tutto, il film ottiene un grande successo al box office, e critiche molto positive sulle testate americane.

Anche Sergio Leone, nel 1984 per il suo Once upon a time in America (C’era una volta in America), avendo a disposizione un budget principesco (30 milioni di dollari) dopo aver spostato il set da New York al Canada, da Parigi all’Italia, decide di realizzare una scena di pochi minuti al St. Pete Beach del Don Cesar Hotel. Si trasferisce con la troupe in Florida per una settimana e costruisce però un momento cruciale della storia, quello dove James Woods/Max comincia a preparare la trappola dove cadrà il suo ex-amico Robert De Niro/Noodles. Riguardando oggi, a trent’anni di distanza, questo film lungo, complesso, ma sostanzialmente cupo, l’unico momento luminoso è proprio questa scena dove il direttore della fotografia, Tonino Delli Colli, immerge lo spettatore nei colori brillanti di una spiaggia atlantica.

Anche la televisione ha, nel frattempo, ambientato molte delle sue produzioni in quest’angolo dell’America, ma è nel 1984 che, con la nascita della serie Miami Vice, e con il suo incredibile successo, divenne famosa per milioni di spettatori di tutto il mondo, la città di Miami, il suo clima e le spiagge dorate della Florida. Sembra che l’allora presidente della Corea del Nord, Kim II-Sung, appassionato di cinema d’azione, si facesse portare, attraverso valigie diplomatiche, le cassette con le registrazioni delle puntate, che andavano ad incrementare la sua collezione di 30.000 (sic) film.

In un’intervista dei primi anni ‘70, Charlie Chaplin raccontava che intorno al 1910, il cinema americano spostò la sua produzione da New York alla California. “Allora si girava quasi solo in esterni e il clima della Grande Mela non consentiva per almeno sei mesi all’anno di effettuare riprese. Los Angeles e dintorni avevano un inverno più mite, e lì, si poteva lavorare tutto l’anno.” L’intervistatore chiese allora perché non fosse stata scelta la Florida dove la situazione climatica era ancora migliore. Chaplin scosse la testa: “I trasporti e le infrastrutture allora esistenti, non ci avrebbero consentito di lavorare in quelle zone. La California fu, per quei tempi, la scelta migliore.”

Chissà come si sarebbero sviluppati i grandi capolavori di Keaton, di Harold Lloyd e dello stesso Chaplin, con le luci e i paesaggi di quest’angolo del mondo? È una domanda alla quale, ovviamente, non esiste risposta.

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